Come una gocciolina che continua a cadere nello stesso
punto. Così i miei pensieri. Voi che leggete siate i miei compagni, come coloro che
legarono Ulisse all’albero della nave, legatemi e non slacciate i nodi, il mio
canto delle sirene è lui. Che mi richiama dall’oltretomba dei ricordi. Com’è il suo viso? Cerco di dimenticarlo. È tondo, un po’
ispido, occhi di un colore difficile da definire, labbra morbide e rosee. Cerco
di dimenticare anche le sue mani su di me. Mani di un estraneo ormai, occhi di un estraneo.
Plin. Plin.
Pensare che un estraneo sappia tutto di me, che le sue mani
siano state su di me, è come se mi abbia derubata di qualcosa di mio. Lui ha
quel qualcosa e ora io non sono più in quella vita con lui. Non ha avuto nemmeno il coraggio di dirmi “non ti amo più”
guardandomi negli occhi, peggio ancora se non l’ha fatto solo perché gliel’ho
chiesto io, si dimostrerebbe davvero la persona più egoista che io abbia mai
conosciuto.
Plin. Plin.
Certo non si può pensare di stare tutta una vita con una
persona a 22 anni. Ma chi l’ha deciso? C’è chi si incontra a 15 anni e non si
lascia più. Quando decidi di stare con qualcuno non puoi pensare che il giorno
dopo debba finire. Devi crederci fino in fondo. E lui aveva smesso di crederci
da tempo. Adesso ci sono solo macerie di pensieri, di parole, di
giorni. Le parole svaniscono al vento. Rimane il ricordo di alcune parole che
fanno arrabbiare, infuriare per come vanno gli eventi.
Plin. Plin.
Poi leggi parole che non vorresti leggere.
Plin. Plin.
Voglio e devo perdonarmi. Per le cose che penso di aver
sbagliato. Perché alla fine di tutto io so di aver lottato, ormai non posso più
farci niente. Ho lottato e ho perso.
Oggi voglio raccontarvi una storia. Questa mattina mi sono svegliata e mi sono chiesta “è
davvero finito questo sogno?” e tutta la felicità che mi aveva provocato è
cominciata a svanire. Tutti coloro che mi conoscono sono al corrente che io
faccio sogni molto particolari e al mattino mi piace raccontarli (e un po’ mi
odiano per questo! Soprattutto mia sorella Berenice). Ma questo è proprio da
raccontare. E non a caso il mio blog si chiama “Cuéntame tussueños” cioè “Raccontami
i tuoi sogni”.
Mi sembra di avere due sogni che si confondono e si mescolano
insieme. Ma proviamo dal primo ricordo. Sono in una grande città, scendo delle
scale, gli spazi sono molto stretti, come cunicoli in un sotterraneo, ma riesco
finalmente a prendere la metro. Entro con il mio cappottino rosa, non voglio
appoggiarmi alle pareti ho paura che si sporchi, non riesco a leggere le fermate
scritte in arancione nella striscia in alto del vagone, ma alla fine scendo a quella
giusta, anche se la metro è ormai diventata un autobus. A quanto pare il mio intento era quello di andare in palestra,
entro ma non mi cambio, mi siedo in terra e decido di cambiarmi le scarpe.
Nella mia testa viaggiano mille pensieri, mi squilla il telefono, è un
messaggio! È Giulio e dice “Stavamo mangiando dei gelati”, arrabbiata mi chiedo
perché doveva arrivarmi un vecchio messaggio. Poi si avvicina un uomo e mi
chiede “Le senti quelle voci?”, e poi le sento, sono le voci degli amici di
Giulio, non ricordo bene di cosa stiano parlando, si avvicinano, c’è una
ragazza che non ho mai visto e mi chiede “Poi la prossima volta vieni anche te!”,
sguardi imbarazzati tra i presenti, “Non sai che non stiamo più insieme io e
lui?”. Mi trovo in un altro luogo, il paesaggio magnifico di
qualche favola. Sono senza parole. Colore, è pieno di colore! Il cielo è azzurro e le case sono
assurde e particolari, rosse, gialle, blu, mi ricordano quasi il Cremlino,
hanno cancelli di avorio intagliati, e in mezzo scorrono ruscelli d’acqua
salata.
Ecco che vedo un gigante. Si sta consultando con un stivale, gli chiede se sia saggio
entrare a derubare la casa alla quale è appoggiato. Decide di entrare e
saccheggia il tutto, esce e rompe il meraviglioso cancello che cade a terra e
comincia a urlare. Esce un signore un brutto signore, basso grassoccio e con bianchi capelli, che comincia
a inveire contro il gigante, ma quest’ultimo è già fuggito. È fuggito su una
spiaggia e non è più il gigante, ma è Giulio, che gioca a pallavolo sulla
sabbia. Io finora solo spettatrice da molto lontano, decido che quello è il mio
posto, che devo andare là su quella spiaggia. Mi ritrovo in una casa sul mare, so che l’unico modo per
riaverlo è mettere una canzone, non so bene per quale motivo, ma c’è un vecchio
giradischi, inserisco un disco, la canzone che ne esce sembra una di quelle
degli anni ’60, melodiosa e un po’ triste, metto il volume al massimo per far
si che la musica esca da quelle finestre e incontri le orecchie di Giulio sulla
spiaggia. Ma non accade allora corro fuori, per farmi vedere, la spiaggia è
cosparsa di sterco e devo stare molto attenta a non calpestarlo, ma poi corre
verso di me. Siamo sotto un portico e ci abbracciamo. Ma è grasso e i suoi capelli
sono diversi. Mi dice che adesso deve essere diverso, entrambi lo sappiamo. Ecco il lieto fine della favola. Aimè finisce il sogno, mi sveglio di soprassalto pensando di
aver dormito fino alle 11, fortunatamente no. E comincio a ricordare il sogno,
mi è rimasta solo un po’ di polvere sabbiosa tra le mani, che svanisce in un
attimo. Curiosa come sempre di conoscere i significati dei sogni che
faccio, di analizzarli, accendo il pc e digito su Google “sognare un gigante”,
forse non è così attendibile ma clicco sul primo sito.
“Il gigante nei sogni riporta con i piedi per
terra, rappresenta la terra e le istanze terrene ed il peso di queste
all’interno di una dinamica o di una situazione, il valore dell’oggettività e
della realtà. Capiamo allora quanto possa essere importante la sua immagine nei
sogni e quanto possa
contribuire al meglio comprendere ciò che sta accadendo nel sognatore ed
intorno a lui. Come accade nei sogni seguenti
fatti da due ragazze in crisi per un rapporto d’amore interrotto.”
Mi fermo, l’ultima frase mi colpisce nell’intimo. Immagino
quante cose si possano nascondere nella nostra mente, quanto il nostro inconscio
capisca prima noi stessi cosa accade veramente e come possiamo risolverlo.
“La dimensione da gigante
dell’ex riflette la considerazione e l’amore che la lontananza e il dispiacere
hanno accentuato. Il fidanzato-gigante è il
simbolo di una grande idealizzazione. Ma non solo, è anche riflesso di un
possibile messaggio dell’inconscio rispetto a ciò che di “poco sentimentale” e
di “molto materiale” può manifestarsi nella persona. Materialità, pregnanza, oggettività,
concretezza, forza fisica…sono tutte le qualità che possiamo ricercare nel gigante dei sogni oltre ad una certa “inflazione
dell’io” e ad un senso di orgoglio smisurato.”
Non voglio dare credito a tutte le parole che ho letto, ma
indubbiamente tutto questo mi fa pensare molto a quello che provo. Vi ho
raccontato un mio sogno, spero di non avervi annoiato.Dalla trepidazione di scriverlo non ho
nemmeno fatto colazione. La prossima volta farò un disegno per rendervi partecipi
della bellezza superba di quel luogo nel sogno, così potrete andarci anche voi
e capire ciò che io ho provato.
Non riesco a trovare le parole. Se ne presentano mille alla
mia mente, creando discordia.
Più uno cerca di non pensare più non ci riesce.
Cerco di fare chiarezza, accendo una piccola luce dentro me,
chiudo gli occhi.
Ecco, ora devo fermarmi, dovunque io sia. Immobile. Devo
trovare quella parte di lui che si è legata a me e riuscire a staccarla
dolcemente. Ma forse è impossibile farlo in modo dolce. Forse va strappata con
violenza, ne vanno estirpate le radici.
Lasciami respirare, ti prego. Lascia che le mie giornate
scorrano fluide con l’andamento della luce. Lascia che i miei giorni non
vengano bagnati da lacrime di tristezza.
Non se ne vuole andare. Rimane aggrappato lì, lo vedo. Ha affondato
le unghie nel mio cuore, io gliel’ho lasciato fare e sono io che non voglio
lasciarlo andare.
È una cosa iniziata lentamente, abbiamo cominciato a parlare
nel luglio 2011, scherzando, ci siamo finalmente visti nel settembre 2011, io
sono poi partita per l’Erasmus, non volevo legarmi. Abbiamo continuato a
sentirci, a parlare di quello che ci accadeva.
Ci siamo finalmente rivisti a Natale 2011, i nostri corpi si
sono uniti. Ma poi sono dovuta ripartire, ricordo ancora le sue parole, mentre
scendevo dalla macchina “Io ti aspetto” e io che non volevo credergli e non
volevo credere a me stessa. Quando ero a Madrid gli ho scritto che forse era
meglio non continuare, forse avevo paura. Poi sono tornata definitivamente a
casa, Firenze, 20 febbraio 2012, ci siamo rivisti, era una giornata piovosa, io
l’ho aspettato in Piazza della Signoria e abbiamo camminato e parlato, io ho
rivelato le mie paure e lui mi ha rassicurata, ci siamo fermati in un vicolo
del centro, mi ha detto “Provaci, buttati, male che vada sarà stata un’esperienza”
e allora c’è stato un bacio. Dentro di me sentivo ancora la paura pulsare, la
paura di poter vivere qualcosa di vero e di poterlo perdere.
Abbiamo fatto un sacco di cose, siamo andati a Bologna, a
Venezia, città della quale mi sono follemente innamorata, l’ho fatto correre
per musei e piazze. Ho tante, troppe foto a ricordarmi quei bei momenti.
Ho lavorato alla Fortezza, e ogni momento libero lui veniva
a trovarmi, voleva stare con me ogni attimo. Con quei pochi soldi guadagnati
abbiamo deciso di fare un viaggio, siamo volati a Londra, maggio 2012.
Una città non troppo adatta a me, ma sicuramente
meravigliosa, anche lì a scorrazzare tra musei, tra pub, con me che non riesco
nemmeno a reggere un bicchiere di birra.
Siamo tornati in Italia, abbiamo trovato un lavoro, mi ha
detto “Vienida me, a stare a casa mia,
non c’è nessun problema!”. Abbiamo quindi vissuto insieme ben tre mesi estivi,
stress e lavoro, ma eravamo comunque noi, ed io ero felice di condividere la
mia vita con lui, di dormire tutte le notti con lui, in quel letto di una
piazza e mezzo, il caldo torrido che ci appiccicava la pelle, io che cercavo
refrigerio dormendo addossata al muro. Era difficile ma era bello. Le mie cose
stipate in una valigia rossa ai piedi del letto per tre mesi. Non mi
interessava avere nemmeno un cassetto,
mi bastava essere lì con lui.
Lo spazzolino sulla scrivania e il mio pigiama sul letto.
Poi il vento autunnale ha cominciato a scorrere e siamo
tornati alle nostre vite universitarie, stanchi dell’estate faticosa. Lui
sicuramente più stanco di me. Mi ero abituata male, a me in fondo piaceva stare
con lui in quel modo, ma lui si era stancato un po’ di quello e si sa le donne
tendono di più a creare un nido a differenza dell’uomo. Così abbiamo cominciato
a non capirci.
“Natalia, perché mi stai così addosso?”
“Giulio perché non vuoi mai stare con me come prima?”
Ecco. Lì è stato il punto di rottura. Quello in cui la
Natalia bisognosa di affetto lo ricercava nella persona accanto a lei, la
persona che diceva di non aver mai amato nessun altra in quel modo. E il Giulio,
che in quel momento non voleva Natalia, voleva viversi i suoi 22 anni al meglio,
voleva essere libero.
Qualcosa ha cominciato a scricchiolare, io che provavo e
provavo, e lui che si allontanava. Ci siamo lasciati, doveva riflettere, ho
passato i primi minuti del mio compleanno, il 24 dicembre, a piangere, dopo
aver letto un suo messaggio di auguri. Mi mancava.
Il 2 gennaio 2013 ci siamo rivisti, guardati negli occhi, e
il suo amore era lì, nascosto, l’ho visto e ci siamo riappacificati. Continui
litigi ci hanno trasportati, l’entusiasmo sparito dai suoi occhi mi feriva il
cuore. Il 20 febbraio 2013 abbiamo festeggiato un anno insieme e i nostri corpi
si sono uniti insieme per l’ultima volta.
L’1 marzo ci siamo visti, mare sul fondo, cielo che annuncia
tempesta, e lacrime a bagnare il mio viso. Ci siamo lasciati. Forse era la cosa
più giusta da fare in quel momento. Il suo sentimento d’amore è calato, come il
sole al tramonto, ti accorgi che è svanito solo quando è già buio.
E io non riesco ad accettarlo no. Queste sono le unghie infilzate
nel mio cuore. Ho scritto queste cose, per cercare di lasciare in queste righe
un po’ di lui, per farlo pesare un po’ meno dentro di me. Per cercare di curare
il mio cuore, per abbandonare qui qualche piccolo pezzo.
Quanto è difficile lasciar andare le persone con cui hai
condiviso tutto.
Ah…un momento sto respirando un po’ di nuovo. Non voglio
piangere oggi. Lo devo a me stessa.
"<La verità non è mai tra il fare una cosa e il non farla. Ma tra il farla o non farla per coraggio oppure per paura>, disse Noah. Tomàs rimuginò le sue parole. Pensò a tutte le persone che stavano insieme senza amore, per paura della solitudine. E a quelle che si amavano senza stare insieme, per paura di sacrificare la libertà. Due scelte in apparenza opposte ma che conducevano entrambe al fallimento perchè generate dal medesimo impulso di vigliaccheria." Mi ha colpito questa frase mentre leggevo stanotte il libro di Gramellini, "L'ultima riga delle favole". La frase "per paura di sacrificare la libertà" mi ha fatto pensare alla mia storia. Alla storia che è appena finita, finita per quella libertà, che io non ho mai privato a nessuno. E mi fa arrabbiare questo, perchè io non mi sento più libera adesso. Non riesco a liberarmi di questo senso di angoscia in giro per le strade di Firenze, perchè ho paura di vederlo. Non mi sento libera e serena di camminare all'università, perchè ho paura. Il cuore mi batte all'impazzata, continuo a osservare i mille volti che mi passano vicino. Eravamo sotto lo stesso tetto oggi, ma non ci incontreremo più, non andrò più a salutarlo come prima avrei fatto. Lui adesso si sente così libero e io invece così arrabbiata. Perchè non sento più sulla mia pelle la sua mano, sul mio viso i suoi occhi, perchè lui adesso è libero dall'amore che diceva di provare per me. La paura di non essere libero gli ha asciugato il cuore. E mi manca lui.
Chissà! Quanti chissà bussano alle porte della mia mente, ancora sveglia quando invece dovrebbe dormire. Questa notte è buia. Chissà come sarà la prossima! Pensavo, chissà che farà lui adesso, chissà a chi rivolgerà le sue parole, le parole che prima tendeva a me. Chissà quale sarà il suo ultimo pensiero la sera, prima di stendersi sotto le coperte, dopo aver controllato le ultime notifiche di facebook e finalmente assopirsi. Chissà a chi penserà domani mattina appena sveglio. E io? Io a cosa penserò? Stanotte prima di chiudere gli occhi? E domani mattina appena li riaprirò? (Certo spero di non pensare agli esseri che ho visto alla fine del telefilm di stasera, altrimenti non dormo!) Chissà cosa farò domani, cosa proverò. Chissà se mi trascinerò nella giornata come oggi, o se riuscirò a prendere in mano quel dannato libro e studiare qualcosa. Sicuramente so che il mio tempo è prezioso. Perchè non torna indietro, questo mondo non è quello dei sogni, le cose non vanno come noi desideriamo. Gli eventi seguono il tempo, che tranquillo percorre la sua strada e si porta via tutto. E io so che non voglio sprecarlo pensando a chi ormai mi ha cancellata dal proprio cuore.
Ecco. Ci sono le giornate di sole e cielo azzuro, come la giornata di ieri, in cui tutti dovrebbero essere felici. Invece è difficile. Quel cielo e quel sole mi fanno pensare a ciò che ho perso. A pomeriggi mano nella mano sotto quel sole che ti fa male agli occhi. A pomeriggi senza pretese con la persona che ami, camminando su verdi prati. A pomeriggi pieni di parole o pieni di silenzi, con la certezza che quella persona è con te. Ti ritrovi con questi pensieri nella mente, con un'immagine piena, con un viso lontano e quegli occhi che ormai non ti guardano più. Ti ritrovi solo, sotto quello splendente cielo azzurro, senza una mano da stringere, senza occhi da guardare, senza quel piccolo pezzetto di te, che hai donato a quegli occhi e a quella mano, quel piccolo pezzo che è già stato dimenticato, disperso sotto altri cieli da ammirare.
Ci si dimentica in un attimo di chi abbiamo
avuto accanto, di chi ha cercato di aiutarci, nonostante mille errori.
Come è facile lasciare le persone indietro e viversi la propria
ritrovata "libertà".
"Non ti amo più". Queste parole riecheggiano nella mia mente come lame, che vanno a creare un taglio sempre più profondo. Allora mi sono stesa sul letto, ho spento la luce e ho cercato di rilassarmi. Ho chiuso gli occhi ma le parole, quelle parole, non mi hanno lasciata in pace, le ho dette allora ad alta voce, le ho ripetute più volte, come per farle capire a qualcuno che non ci credeva. Quelle parole che gli ho fatto dire per mettere un punto dentro di me. Un punto a quella speranza che continua a seguirmi, imperterrita, che cerca di trovare una spiegazione a quelle parole. Una spiegazione al perchè non abbia avuto il coraggio di dirle prima. Si sa l'uomo è codardo. E io mi sono ripetuta quelle parole. Dentro e fuori. Ma è lunga la strada per la cicatrizzazione. Bisogna metabolizzare, ed è la cosa più difficile. E per metabolizzare bisogna avere il coraggio di guardare la verità negli occhi. Quindi ora me lo scrivo su un post-it "non ti ama più, Natalia" fattene una ragione, me lo attacco al muro e lo guarderò ogni volta che il mio cuore chiederà spiegazioni.